lunedì 13 giugno 2016

Je suis cosa, stavolta?

Non sono mai stato omofobo, non lo sarò mai perché ognuno ha il diritto di amare chi ritiene più opportuno. 

A me piacciono le donne, ma penso che ognuno abbia la propria inclinazione ed abbia tutto il diritto di amare chi più gli aggrada.

Tutto questo per dire cosa? In questi giorni in Florida un delinquente ha ammazzato una cinquantina di persone in un locale gay. 

Non mi interessa la credenza religiosa di questo emerito testa di cazzo, non mi interessa nemmeno perché ha compiuto un gesto tanto schifoso. Quello che mi interessa è osservare quello che vedo intorno a questa tragedia.

Je suis Charlie, je suis qualsiasi cosa ad ogni strage (rigorosamente di persone vicine a noi per cultura. Mai visto un je suis nigeriano o je suis palestinese se non da parte di una sparuta minoranza), candele virtuali su Facebook, link strappalacrime... 

Oggi je suis gay? Però c'è stato un attentato anche a Beirut... mhh... je suis gay libanese? Bel dilemma per i leoni da tastiera, bel dilemma per chi si nutre della retorica della tragedia.

Non ero Charlie e non sono gay, non sono nemmeno libanese o turco o siriano o quello che vi pare. Non accendo candele virtuali, non mi interessa il "dolore a comando", non mi appartiene il dolore che si accende oggi e si spegne tra una settimana quando passa di moda la notizia in questione e si passa oltre. Sono io, con tutti i miei difetti, e cerco di rimanere lucido davanti alle tragedie più che posso. Colpito, ma lucido. Sensibile, ma lucido.

Proprio la strage di Orlando mi fa venire a galla una riflessione. In giro è pieno di omofobi, gente che parla apertamente in questi termini: "I finocchi mi fanno schifo, li ammazzerei tutti". 

Bene: questa gente ora cosa fa? Je suis culattone? Je suis frocio? Oppure difende quel delinquente che ha realizzato il malsano desiderio di "ammazzarli tutti"? Se fossero coerenti dovrebbero applaudire il gesto di quel criminale, ma la coerenza in certi casi si ferma alla tastiera.

Coraggio delle proprie idee, coraggio delle proprie azioni... tutti bravi davanti al PC, ma vorrei vederli davanti alle famiglie delle vittime a dire "I finocchi li ammazzerei tutti". Il leone diventa un agnellino in un nanosecondo, c'è da scommetterci.

Questo per dire cosa? Sono indignato, anzi... sono proprio incazzato! Gli omofobi mi urtano, mi danno noia e non mi vergogno a dire che mi fanno schifo. Almeno fossero coerenti, almeno avessero le palle per difendere le proprie idee malsane anche in questi frangenti... Invece no, sono spesso i primi a dire "poverini" a quelle persone uccise ad Orlando... complimenti!

Che vita di merda che fate, cari omofobi... siete razzisti, siete gretti e limitati, ma il mondo è a colori anche se voi siete in bianco e nero. Vi auguro di avere tanti figli e tutti omosessuali, vi auguro di dovervi scontrare con l'assurdità del vostro modo sbagliato di vedere le cose. Non avete ragione, siete miseri e vi ci vorrebbe davvero un bello shock per farvi redimere. 

Se avessi un figlio omosessuale, lo inviterei ad essere se stesso senza nascondersi anche se non è facile perché la società non accetta le diversità. E' come se io nascondessi la mia disabilità, non avrebbe senso. Ognuno deve essere se stesso e sogno una civiltà in cui non ci siano più differenze. 

Mori, biondi, bianchi, neri, gialli, atei, credenti, omosessuali, eterosessuali, transessuali, disabili, normodotati, quello che vi pare... tutte sfumature che non devono servire a discriminare e a dividere, tutte categorie che abolirei ora all'istante: siamo tutti uguali perché siamo tutti persone. Il resto non conta un cazzo.

mercoledì 8 giugno 2016

Un mio grande amico compie gli anni

Lo sapete tutti: amo il baseball, è parte di me da sempre ed ho in questo sport molti dei ricordi più belli della mia vita.

Non mi interessa parlare della situazione attuale del batti e corri in Maremma, non mi va di farlo e vi prego di non farlo negli eventuali commenti a ciò che sto scrivendo. 

Non ho la minima voglia di polemiche e di situazioni spiacevoli che inevitabilmente si accendono a parlare di certe cose in questo momento. Voglio, però, parlare di baseball. Questo sì, concedetemelo.

Oggi compie gli anni uno dei miei miti del baseball, uno che mi ha infiammato il cuore e mi dà i brividi più grandi per una serie di motivi che soltanto lui, la sua famiglia ed io possiamo capire.

Oggi compie gli anni Raffaele Gandolfi, il mio amico Lele Gandolfi, ed è di lui che voglio parlare. Chi lo ha visto in campo sa quello che è stato, chi lo ha visto in campo ricorda una frase di Claudio Banchi alla festa-scudetto del 1989 in Piazza Dante con cui venne incoronato come il miglior lanciatore mancino d'Italia, chi lo ha visto in campo non può averlo dimenticato.

Lele è Lele, Lele è uno per cui mi sono spellato le mani ed ho perso la voce, è uno che ha avuto una sfortuna clamorosa quando nel mezzo della carriera ha avuto un incidente che ha rischiato di far avere un finale diverso alla sua storia. Ogni volta che passo da quel punto, mi prende male anche dopo tanti anni.

Lele è uno che quel 19 maggio poteva salutarci ma il 26 aprile successivo era di nuovo in campo, Lele è uno che ha messo strike-out un certo Roberto Bianchi al suo ritorno allo Jannella, Lele per me è qualcosa di indescrivibile.

Su Lele non sono oggettivo, ho troppi ricordi che mi legano a lui ed il più drammatico è anche il più bello: quando era all'ospedale dopo l'incidente mi regalò il marchio Ford della sua macchina distrutta. Non c'era rimasto altro di intero. Nemmeno Lele era intero, come non lo era Luca Scarpini nel letto accanto.

Oggi Lele si occupa di altro ed, anzi, devo andare una volta a mangiare nel suo locale (di cui tutti parlano bene) perché ho decisamente voglia di una bella mangiata e di due chiacchiere con lui e con sua moglie.

Auguri Lele #12, amico insostituibile.

giovedì 2 giugno 2016

2 giugno. Festa di cosa?

Settanta anni dopo vedo sempre più voglia di nomine e meno voglia di elezioni. Se questa voglia viene da un governo e da un parlamento, sinceramente sono preoccupato. 
 
Le occasioni di voto sono sempre meno ed abbiamo un Presidente del Consiglio che ha invitato a non andare a votare ad un referendum poche settimane fa: i quartieri non esistono più, le Province sono "per nomina" e non sono più elettive, il Senato sarà ridotto alla stessa stregua se vincerà la linea-Renzi al referendum di ottobre... 
 
Scusate, ma più che festeggiare la Repubblica, preferisco ricordare che durante il fascismo un ramo del parlamento era "votato" con elezioni pilotate e l'altro era costituito da nominati. Quanto somiglia alla linea-Renzi tutto questo... 
 
Inoltre (lo dico per le donne che inneggiano al duce e al fascismo) fino al 1946 le donne non potevano votare, non ne avevano diritto. Prima di inneggiare a certa robaccia, pensate che durante quel periodo non avevate diritto di parola nell'agone della politica e che il vostro caro duce diceva "Io ho sempre ragione e voi zitte, in casa a fare le brave massaie e a sfornare figli per la patria". Ogni commento penso che sia superfluo se si ha un minimo di sale in zucca.
 
Ora e sempre resistenza, ma non solo a parole e a slogan da ripetere a pappagallo il 25 aprile perché in quel giorno "bisogna" essere più partigiani come a Natale "bisogna" essere più buoni. 
 
Ora e sempre resistenza anche il 2 giugno e con gesti significativi più che con tante belle parole che non significano niente se non sono accompagnate da una concreta e costante azione partigiana fatta non soltanto di memoria ma di perpetuo ribadire che su certi valori non si transige per nessuna ragione.

domenica 1 maggio 2016

Primo maggio di lotta

Sono giorni piuttosto complicati, sono malato da Pasqua e non ce la faccio a scrivere nel blog (che, sia chiaro, non è in disarmo). Oggi è il primo maggio e raccolgo le poche forze che ho per scrivere un paio di pensieri.

Sento dire spesso "Che cazzo festeggiate il primo maggio che non c'è lavoro?" Stiamo semplicemente celebrando il lavoro e la sua importanza, il fatto che il lavoro è un diritto e che lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo è un crimine schifoso che viene continuamente perpetrato nell'indifferenza di tanti che fanno spallucce e se ne fregano.

Il primo maggio non è "Che bello! Io lavoro e te puppa!" No! Il primo maggio è la festa del riscatto del lavoro dallo sfruttamento, un riscatto che è necessario e che da troppo tempo viene rimandato. I padroni possono alzare la testa, ma prima o poi perderanno.

Quando? Quando il popolo capirà un concetto semplicissimo: unità della classe, soltanto un proletariato unito può vincere contro i padroni (che, infatti, fanno lega tra loro e stanno vincendo). Non lo dico io, lo dice il Manifesto del Partito Comunista: Proletari di tutti i paesi unitevi!

Cosa dite? Sono parole fuori dal tempo? Non mi pare. La lotta di classe non sarà mai fuori dal tempo finché ci sarà lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Ci hanno diviso, ci hanno spezzettato, ci hanno messo l'uno contro l'altro per farci fare una guerra tra poveri ed hanno ottenuto quello che volevano: ci hanno ridotto ad essere pedine del loro gioco senza nessun potere decisionale, tanto che le occasioni di elezioni sono sempre meno. Hanno abolito i quartieri, non si vota più per le province e non si voterà più per il Senato.

E' democrazia? No. Per definizione in democrazia il popolo è sovrano quindi è sovrano il parlamento eletto in nome del popolo, ma da vent'anni circa chi comanda è il governo che tiene sotto scacco (diciamo pure ricatto) il parlamento a colpi di voti di fiducia. Il parlamento è lì a ratificare quello che vuole il governo, ma questa non è democrazia.

Riprendiamoci quello che è nostro a partire dall'unità della classe: divisi non siamo niente, tutti uniti si vincerà! Proletari di tutti i paesi, unitevi! 

lunedì 4 aprile 2016

Togliendo l'intonaco

Da qualche giorno non sto scrivendo niente nel blog. Sono stato ai box per una fastidiosa influenza e, soprattutto, non ho molta voglia di scrivere in versi. 

Già scrivo tanto per lavoro e non ho troppa voglia di fissare con le parole le emozioni che vivo. Mi serve altro.

Sto assaporando la vita in maniera diversa: questa primavera che sta sbocciando in me mi fa riscoprire gusti che non sentivo da anni. 

Ho voglia, forse bisogno, di rallentare il ritmo. Questa è la lezione che mi ha dato la febbre che ho avuto in questi giorni: rallentare il ritmo e assorbire un po' di silenzio.

Non ho voglia di rumore, non ho nemmeno troppa voglia di musica. Ho voglia di natura, di silenzio, di sentirmi il vento primaverile sulla pelle, ho voglia di sorrisi, di abbracci, di manifestazioni di affetto e di amicizia, di quella comprensione che sto vivendo. Ho voglia di semplicità. 

Giorni addietro una persona mi ha, forse involontariamente, dato lo stimolo per compiere un passo importante: devo togliermi di dosso ogni cosa che è superflua per far respirare la pelle. Non in senso letterale, tranquilli! Non è che mi metto ad andare in giro nudo (anche se non avrei niente in contrario a farlo, credetemi). Semplicemente mi sto sentendo come un muro che ha bisogno di mettere in mostra la pietra togliendo l'intonaco.

Ecco, questa è la mia fotografia: sto togliendo l'intonaco, un intonaco che impedisce alla pelle e all'anima di respirare. In questo momento ho bisogno di grattare via l'intonaco per ripartire e sto sento in maniera decisamente netta che sto ripartendo per non fermarmi. 

Sto bene, è un bel periodo per me e voglio che continui anche se le difficoltà non mancano. Quando tornerà l'esigenza di scrivere con continuità in versi, lo farò. Non ho smesso di scrivere, non ho intenzione di smettere e non sono fermo, assolutamente: ho scritto qualcosa anche in questi giorni, ma ho bisogno di esprimermi con altri linguaggi.

Come? Con il silenzio, con i gesti, con qualcosa che mi faccia sentire libero. Non tutto può essere espresso con le parole e ci sono emozioni che possono essere manifestate soltanto con azioni semplici, forse anche tenere e primordiali. 

Ho bisogno di questo, ho bisogno di esprimermi così in questo mondo frenetico e sovraccarico di sollecitazioni.

martedì 15 marzo 2016

Seguo l'istinto, spicco il volo

Non ho voglia di scrivere in versi. E' come se in questo momento la scrittura fosse un limite per me. Ne parlavo la notte scorsa con una persona che è al contempo profonda e lieve, una persona che mi accresce con cui ho un buonissimo scambio di energia che mi fa bene.

Cosa è venuto fuori? Parlando con lei in questo periodo mi sono reso conto che non avevo torto quando sostenevo (e sostengo tuttora) che è tutta una questione di linguaggio. Ogni emozione deve essere espressa con il proprio linguaggio: ci sono emozioni che escono fuori meglio con una cosa in versi, emozioni che escono fuori meglio con la musica, emozioni che escono fuori meglio con un disegno o un dipinto ed anche emozioni che escono meglio soltanto con un semplice e sincero silenzio.

Mi sta succedendo in questo momento: non ho voglia di scrivere. Può durare un giorno come una vita, ma quello che ho dentro adesso sento che non deve uscire con una chiamiamola poesia e nemmeno con un racconto.

Ho voglia di dipingere, ma anche di urlare quello che ho dentro, ho voglia di silenzio e di un sorriso timido cercando di guardarmi negli occhi con la persona giusta. Ho voglia di libertà e la scrittura, in questo momento, per me è un limite.

Strano per me che ho sempre scritto forse anche troppo, sorprendente forse per qualcuno (meno per chi mi conosce bene), ma sto sentendo l'esigenza di provare a percorrere strade diverse.

E' tutta questione di istinto: è importante l'istinto, penso che sia di vitale importanza l'istinto. Per troppo tempo mi sono frenato per paura di travolgere gli altri con la mia energia. Questa volta no, questa volta sento che la mia energia non travolge ma si amalgama con quella di qualcuno che può comprenderla ed accrescerla. E' bello così, è giusto così. Mi piace.

Ieri sera mi è preso un attimo di paura, ho vacillato (sono umano, vacillo anche io nonostante che per qualcuno sia una specie di supereroe) ed ho temuto che il bel momento che sto vivendo potesse svanire come ogni altra volta. E' bastata una frase, un consiglio saggio, una canzone per far allontanare quelle nuvole che non voglio più intorno. E' tornato il sole. E' tutto vero e non ho paura. 

Non travolgo chi non vuole essere travolto, travolgo chi non comprende la mia energia. Questo, però, non è un problema mio. Forse stanotte l'ho capito per la prima volta, forse stanotte mettendomi virtualmente a nudo ho distrutto un pezzo importante di quel guscio che mi impedisce di sbocciare in maniera completa. 

Qualcosa sta cambiando, qualcosa è cambiato. Mi sento compreso ed è come se stessi aprendo le ali, è come se avessi capito come fare per aprirle. Le nuvole torneranno, ma indietro non torno. Sento qualcosa dentro di me che è forte, potente, inedito e limpido come non è mai stato in tutta la mia vita. Seguo l'istinto, spicco il volo. Cadrò, ma intanto volo.

sabato 12 marzo 2016

Canto di primavera

Spesso ci dimentichiamo dell'importanza dei sensi. Li diamo per scontati, è inevitabile. Siamo abituati a loro al punto che neanche avvertiamo la loro importanza però poi succede che arriva quel momento in cui ci accorgiamo di loro... eccome se arriva quel momento! "Arriva all'improvviso, arriva come il mare e non sai mai da dove" come dice una bella canzone del Banco del Mutuo Soccorso.
 
Nel mio piccolo ho sempre cercato di dare importanza ai sensi, a tutti e cinque i sensi, ma in questo momento li sto rivalutando in maniera molto intensa come forse non avevo mai fatto in tutta la mia vita.

Penso che nelle relazioni umane siano importanti tutti i sensi per far sì che si possa parlare di vera conoscenza. Mi sto accorgendo sempre di più del fatto che i rapporti con le altre persone coinvolgono in maniera potente i cinque sensi. Non è molto diverso dall'assaporare del cibo: anche in cucina sono coinvolti tutti i sensi, non soltanto il più evidente ovvero il gusto.

La cucina è fatta di odori, di palato, di colori, di contatto fisico con ciò che si mangia e che costituisce il nostro nutrimento, di udito... La stessa cosa accade con le persone ed anche in questo caso si tratta di nutrimento. Forse si tratta della più alta forma di nutrimento perché arricchisce il nostro spirito, la nostra anima, la nostra essenza, la nostra intimità.

Godiamo delle persone che ci danno nutrimento e che ci arricchiscono, non delle persone che non ci trasmettono nulla. Quelle esistono nella stessa maniera in cui esiste un piatto che non ci aggrada o che dobbiamo mangiare per obbligo.

Non sempre è possibile nutrirsi di persone gustose, non sempre e possibile stabilire un contatto con loro ma quando accade ecco che l'esplosione di sensi ci pervade e stiamo bene sentendoci appagati e stimolati a nutrirsi ancora di loro.

La cosa diventa ancora più potente quando ci accorgiamo di avere a che fare con persone che gustano ciò che stiamo loro donando. A quel punto il piacevere diventa massimo e porta alla felicità di donarsi con la consapevolezza che si offre viene gradito.

Sono sincero e dico che non amo la compagnia di chiunque. Non mi piace avere intorno persone tanto per il gusto di essere circondato da numeri. Preferisco il contatto di pochi, ma che sia un contatto che mi nutre. Il contatto è importante e non mi va di svilirlo, perciò cerco di donarmi a chi può comprendermi.

Non è stato sempre facile farlo ma con il passare del tempo sto rendendomi conto sempre di più che non posso essere per chiunque e questo non è un difetto. Come dico spesso: sono di nicchia, non sono per tutti e questo mi accorgo sempre di più che è un pregio. Sono come certa musica: non sarò mai mainstream, ma va bene così. Non inseguo la massa, non seguo la corrente. Sono così, non cambio per compiacere qualcuno.

In questo periodo sto tagliando rami secchi ed è un processo faticoso perché non rinnego quanto di buono mi abbiano date alcune persone che ora non fanno più parte di me (o ne fanno parte in maniera ridimensionata), sto ridisegnando la mia vita ed è un periodo di grandi manovre che serve e servirà a farmi crescere. Diciamo che sono come un albero che cambia le foglia, sono un serpente che fa la muta. Esperienze forti, spesso traumatiche, ma necessarie.

Non sono una persona che butta via chi non gli occorre più, non lo sono mai stato e non voglio diventare così, ma a volte è necessario sfrondare per far riprendere vigore alla pianta. Siccome la pianta in questione sono io, avrei piacere di non essere come certi alberi rinsecchiti che si vedono in giro. In quel modo si muore ed io non ho troppa voglia di morire.

Ultimamente ho riscoperto una canzone: Nel cuore, nell'anima. Sì, proprio la canzone di Battisti che ha cantato anche l'Equipe 84. C'è una strofa che dice "Nel mio cuor, nell'anima tra fili d'erba vedrai ombre lontane di gente sola che per un attimo è stata qui e che ora amo perché se n'è andata via per lasciare un posto a te". Queste parole sono la fotografia di quello che sta accadendo in me.

Non ho mai amato mendicare il contatto con le altre persone e questo mi ha portato sempre di più a dare il giusto valore a chi sceglie di starmi accanto anche se sono pieno di difetti che cerco costantemente di migliorare.

Il contatto è importante, oserei dire fondamentale, ed in questo momento sento di avere accanto qualcuno che mi fa bene. Sento che finalmente sto avendo il giusto scambio di energia con chi mi dà nutrimento e non spreca quello che offro. Non è poco. Penso che sia una delle sensazioni più belle che abbia mai provato: non mi sento inutile. Non mi è capitato spesso di sentirmi così. Sono contento.